Strategie di propagazione dei semi: in che modo riescono a spostarsi pur essendo immobili

E’ un modo diffuso di dire che “la mela non cade mai lontana dall’albero”, quando si vuole indicare che i figli somigliano per aspetto o carattere ai genitori. In natura invece nella maggior parte dei casi il meccanismo che permette ai semi di allontanarsi il più possibile dalla pianta di origine è fondamentale per garantire al nuovo esemplare di non dover entrare in competizione con la pianta già adulta. Dunque anche evolutivamente piante che hanno sviluppato delle vere e proprie strategie per distribuire i semi in modo mirato diventa anche un punto di forza per la sopravvivenza innanzitutto dell’esemplare, ma anche per i suoi discendenti e dunque la sopravvivenza di tutta la specie.

Ma come fanno i semi a spostarsi se non sono forniti di arti?

L’assenza di arti o l’impossibilità proprio di muoversi non ha scoraggiato i semi nel trovare il modo di allontanarsi e colonizzare territori incontaminati. Anzi, hanno sviluppato strutture che sfruttando vento, acqua, calore del sole o animali, permettendo ugualmente lo spostamento.

I semi volanti e la disseminazione anemocora

Molti semi hanno sviluppato delle vere e proprie ali, come nel caso dell’acero: quando il seme raggiunge la maturità si stacca dal ramo e planando e sfruttando il vento, può coprire lunghe distanze. Allo stesso modo, altri semi sviluppano una struttura piumosa, chiamato pappo, che ha una funzione simile a quello di un paracadute, permettendogli di farsi trasportare e non cadere subito. Il pappo è tipico del tarassaco, con la tipica struttura bianca, tondeggiante, chiamata soffione, ma è presente anche in altre specie, come ad esempio il pioppo che in primavera con le abbondanti produzioni crea degli spettacolari effetti di neve fuori stagione.

I semi “velcro” e la dispersione zoocoria

 

Alcuni semi riescono ad allontanarsi dalla pianta madre e ad essere trasportati molto lontani grazie alle estremità uncinate con le quali possono aggrapparsi praticamente a tutto, animali o abiti di persone di passaggio. Pare che queste estremità uncinate siano state proprio prese da esempio dall’inventore del velcro ricreando lo stesso meccanismo.
 

 

 

 

 

I semi appetitosi e la dispersione mirmecoria

I semi vengono ingeriti da animali e poi dispersi, restando, malgrado la digestione, ancora vitali.

E’ quanto accade per una varietà di caffè che viene ingerito e propagato da uno zibetto, il luwak. Questi semi di caffè, così “trattati”, vengono rivenduti a circa 600 € come Kopi Luwak, il caffè più costoso al mondo. Pare che il processo digestivo renda l’aroma finale molto particolare ed unico!

Quando però i semi vengono raccolti dalle formiche, che non li ingeriscono, ma li trasportano e ne consumano solo la parte esterna, la dispersione prende il nome di mirmecoria, se ad opera di uccelli, si dice ornitocoria.

I semi “proiettile” e la dispersione bolocora

 

Alcuni semi, giunti a maturità, vengono letteralmente sparati come proiettili a lunghissime distanze. Di solito l’esplosione avviene in seguito ad un urto o al calore del sole. Tra le piante che adottano questa strategia ricordiamo il cocomero asinino (Ecballium elaterium), una varietà di cucurbitacea spontanea, che se urtata, spara come una mitragliatrice i semi con estrema violenza ad una velocità di 10 m/s!
 

 

 

I semi galleggianti e la disseminazione idrocora

 

Per concludere, ricordiamo i semi che sfruttano l’acqua per farsi trasportare per molti chilometri. E’ una strategia tipica delle piante acquatiche, ma è usata anche dal cocco che riesce a rimanere germinabile per 110 giorni in immersione e percorrere fino a 5mila chilometri.

 

 

Mangiatoia per uccelli realizzata con materiale di recupero

Con l’arrivo dei primi freddi e in prossimità di gelate o, peggio ancora, di nevicate, per la fauna selvatica e, nello specifico, per gli uccelli che non migrano, risulta molto difficile reperire il cibo.
Erroneamente si pensa che sia sufficiente disporre briciole di pane sul davanzale o sui balconi per aiutare i volatili a superare l’inverno.
In realtà come spesso dichiarato anche dalla LIPU, i prodotti lievitati, salati, o con additivi chimici non sono adatti all’alimentazione degli uccelli. Dunque è preferibile utilizzare semi di girasole, canapa o anche quelli già in miscela dei canarini. Alcuni uccelli non disdegnano nemmeno uvetta, pezzetti di mela e grasso.
Il modo ottimale per somministrare il cibo è attraverso delle mangiatoie disposte in punti strategici del giardino o del balcone lontani da occhi indiscreti dove gli uccelli si possano sentire al sicuro. Può capitare di dover spostare più volte le mangiatoie per trovare il punto più giusto.
Per la mangiatoia riportiamo un’idea molto interessante tratta dal libro di Marinella Correggia “Io lo so fare. Piccola guida all’autoproduzione manuale, creativa ed ecologica. Far da sé, non sprecare, risparmiare
Occorrente :
– miscela semi per uccelli e pezzetti di frutta
– bottiglia di plastica da 2 litri
– stecchi di legno o due cucchiai di legno
– carta da cucina

Con la carta si forma sul fondo della bottiglia uno strato di circa 5 cm. Quindi si inseriscono dei vecchi cucchiai di legno o degli stecchini nella bottiglia in modo tale che sporgano di pochi centimetri all’esterno, così che formino tra loro angoli retti e ad una distanza di circa 5-10 cm di altezza. Utilizzando un taglierino creare una fessura di circa 5 cm sopra ogni cucchiaio: da queste fessure cadranno i semi, dunque devono essere delle dimensioni adatte. Fessure troppo grandi rischierebbero di far cadere troppi semi, sprecandoli. Fessure troppo piccole, al contrario, ne bloccherebbero la caduta.
Riempire la bottiglia con il becchime, avvitare il tappo, avvolgere il filo intorno al collo della bottiglia ed appenderla.
Le mangiatoie vanno posizionate all’inizio dell’inverno, rabboccando all’occorrenza i semi fino alla primavera.
Sfamare gli uccellini può essere anche uno spunto per osservarli e conoscerli meglio.

Argilla: proprietà ed usi

Quando si parla di argilla, nell’immaginario collettivo si pensa subito alle maschere. In realtà questo preziosissimo dono della natura di origine minerale è incredibilmente versatile e si presta a moltissimi impieghi.

Infatti l’argilla in polvere che, appunto, utilizziamo in cosmesi per realizzare le maschere, è la stessa che viene utilizzata per la produzione di ceramiche, o in campo floro-vivaistico per produrre l’argilla espansa. Addirittura in agricoltura biologica l’argilla, nella variante bianca (caolino), viene utilizzata, diluita con acqua e spruzzata sugli alberi per proteggerli dalle mosche delle olive, dai danni del sole e prevenire la cascola, ovvero la caduta prematura delle gemme. Anche la cosiddetta “sabbietta” della lettiera dei gatti altro non è che argilla.

Ma che cos’è l’argilla?

In termini strettamente geologici, è una famiglia di minerali presenti in natura con una granulometria molto ridotta, dall’aspetto per così dire polveroso, caratterizzata da due principali aspetti: elevata assorbenza e, se idratata, formare una massa plastica molto compatta.

In un contesto cosmetico, le argille più usate sono la bianca, costituita da caolino, la verde (bentonite) che si suddividono in base alla granulometria in macinata grossa, macinata fine, e ventilata.

La più versatile è la ventilata, adatta sia ad un uso interno che esterno.

Ebbene sì, oltre alle maschere, dell’argilla se ne può fare anche un uso interno. Per la precisione si può realizzare una bevanda a base d’argilla, sciogliendo un cucchiaio raso di argilla in un bicchiere di acqua fredda. Si lascia sedimentare per una notte e si beve solo l’acqua, lasciando l’argilla sul fondo. Non è piacevolissima come bevanda, soprattutto le prime volte. Tuttavia è molto depurativa ed indicata nei periodi di stress e cattiva alimentazione.

Per gli amanti dell’autoproduzione, con l’argilla si può realizzare anche un dentifricio in polvere, come ben spiegato nel libro “Io lo so fare ” di Mariella Correggia. Occorrono un barattolino di vetro, 3 parti di argilla bianca, 1 parte di bicarbonato, qualche foglia essiccata di menta o salvia, opzionale qualche goccia di olio essenziale. Si mescola il tutto e si applica sullo spazzolino all’occorrenza.

E per concludere, un ultimo utilizzo dell’argilla come smacchiatore dei tessuti: si applica direttamente sulle macchie e la si lascia agire. Grazie al suo potere assorbente, eliminerà ogni alone. Sarà sufficiente lasciar asciugare e spazzolare via l’argilla.

Dove acquistare l’argilla bianca:

—->> http://www.ifioridelbene.com/ecocosmesi/82-argilla-bianca-caolino-100-g.html

Dove acquistare l’argilla verde:

—->> http://www.ifioridelbene.com/ecocosmesi/81-argilla-verde-fine-200-g.html

“Miele” (sciroppo) di tarassaco: un toccasana per la tosse

miele ( sciroppo) di tarassacoAbbiamo parlato ampiamente del tarassaco nei precedenti post, ricordando che è un’erba spontanea tanto diffusa quanto versatile. Colonizza indiscriminatamente campi, giardini, ma anche i margini delle strade o fessure di muri. Viene ritenuto addirittura infestante, ma in realtà considerata l’abbondanza e la diffusione, è bene anche ricordare che ha molteplici proprietà. E’ innanzitutto diuretico, tanto da guadagnarsi il nome di “piscialetto”! E’ depurativo, lassativo, soprattutto in base alle parti usate. Infatti del tarassaco non si butta nulla: si utilizzano le foglie, le radici e finanche i fiori, sia quando sono ancora dei boccioli (vedi Capperi di Tarassaco), o sbocciati, come nella ricetta del miele che andremo a vedere.

In questo post riprendiamo una ricetta tratta dal libro “Vivere in 5 con 5 € al giorno ” di Stefania Rossini  che prevede l’utilizzo proprio dei fiori del tarassaco per preparare un miele vegano (in realtà uno sciroppo, chiamato da qualcuno anche ‘marmellata di tarassaco’) da utilizzare in caso di tosse, sfruttandone il potere fluidificante. Infatti la tosse non è un vero e proprio malanno di stagione, ma una forma di difesa che il corpo utilizza per liberare le vie aeree e lo sciroppo agisce fluidificando i muchi.

Occorrente :

  • 400 g di fiori di tarassaco (solo la parte gialla)
  • 1 kg di zucchero
  • 2 limoni biologici, non trattati

Prelevare solo la parte gialla del fiore, lavare bene e portate in ebollizione in 1.25 litri di acqua per 2 ore con i due limoni tagliati a fette.
Far raffreddare, aggiungere lo zucchero e cuocere per altre due ore a fuoco basso.
Versare lo sciroppo ancora caldo nei vasetti precedentemente sterilizzati, chiudere bene il tappo e capovolgere per creare il sottovuoto.

Prima di assumere il tarassaco, sotto forma di sciroppo, tisana o in qualsiasi altro modo, bisogna esser certi di non essere allergici, soprattutto ai pollini. In questo caso ovviamente se ne sconsiglia l’uso.

La fioritura del tarassaco è molto lunga: inizia da Marzo e si prolunga fino a Novembre. Quindi non mancano le occasioni per raccoglierli, possibilmente in zone lontane dallo smog, meglio ancora se in montagna o comunque zone incontaminate. E, se proprio non si riesce a reperirlo, lo si può coltivare con estrema facilità.

 

 

 

Il calendario fenologico in agricoltura sinergica

calendario-fenologicoEsistono diversi calendari di semina, da quelli a data fissa ( il 15 Marzo si semina il tale ortaggio, il 20 quell’altro) a quelli che prendono in considerazione le fasi lunari (calante/crescente), a quelli basati sia sull’influenza della luna (ascendente/discendente), sia sull’influsso dei pianeti. Un calendario per noi molto efficace è quello fenologico, basato sull’osservazione di fenomeni naturali legati alla vita vegetale o animale di un luogo specifico (la fioritura di una pianta di riferimento o la comparsa di una specie animale). Riteniamo sia più fedele a quelle che sono le specifiche condizioni pedoclimatiche dell’ambiente in cui si opera.
In pratica, la fenologia studia le relazioni tra le condizioni climatiche e i fenomeni biologici periodici.
Questo perché la germinazione, la fioritura, la maturazione dei frutti, come la fine del letargo di alcuni animali o l’apparizione dei migratori dipendono da un insieme di fattori ambientali come la luce, il calore, l’umidità.
Ecco perché è importante tenere conto di questi parametri quando si opera in agricoltura. Seminare o trapiantare prima del tempo espone i semi o le giovani piante all’attacco dei parassiti e degli eventi atmosferici avversi, così come seminare in ritardo può causare una fioritura anticipata a discapito della produzione.
Un’ottima fonte d’informazione per arrivare alla definizione del proprio calendario fenologico sono le persone che già coltivano da diversi anni nella stessa zona e che quindi hanno più dimestichezza con le condizioni climatiche. Ovviamente si tratterà poi di prendere l’abitudine di annotare fenomeni significativi della vita naturale ( sia vegetale che animale) della zona in cui è situato l’orto. Per farlo si può creare uno schema come quello in allegato ( clicca per ingrandire ) ed annotare le temperature, le piogge e i venti. Per quanto riguarda la vegetazione, si può prendere come riferimento un albero, un arbusto o anche una pianta erbacea dei quali si annoteranno i cicli fondamentali (germogliazione, fioritura, caduta delle foglie..ecc..) mettendoli in correlazione con gli altri dati raccolti. La stessa cosa si può fare per le abitudini, la presenza o l’assenza degli uccelli, insetti o altri animali che frequentano abitualmente la zona. Unendo tutti questi dati sarà possibile costruire il proprio calendario per determinare in maniera esatta il momento più indicato per le semine e, nel giro di qualche anno sarà possibile con un semplice colpo d’occhio capire il momento migliore per effettuare le varie operazioni nell’orto. Di grande aiuto può essere anche un termometro per misurare la temperatura del terreno (da rilevare alla profondità di semina) e un piccolo pluviometro per registrare la quantità e la periodicità delle piogge. E’ importante anche prendere nota dell’intensità e delle direzioni dei venti e di eventuali precipitazioni nevose, così come le date del disgelo e della prima e dell’ultima gelata.

Per approfondimenti sul calendario fenologico, suggeriamo il libro “Agricoltura sinergica. Le origini, l’esperienza, la pratica” di Emilia Hazelip

Dado vegetale fatto in casa

dado vegetale fatto in casaAutoprodursi il dado vegetale è un modo per risparmiare , mangiare sano e sfruttare al meglio gli esuberi degli ortaggi coltivati .

Il dado industriale al Kg costa in media 10,00 € in cambio di una qualità piuttosto bassa per un prodotto che per il 50% è costituito da sale. Recentemente molte case produttrici scelgono di eliminare il glutammato , un additivo con sigla E621 ( leggiamo le etichette !), mantenendo complessivamente la quantità effettiva di verdure intorno al 10%. Quindi ogni volta che inseriamo un dado industriale nei nostri piatti aggiungiamo un concentrato di sale e additivi con tracce di ortaggi.

In rete ci sono tantissime ricette per realizzare in casa il dado vegetale. Alcune prevedono la cottura degli ortaggi, per asciugarli, ottenendo in questo modo un dado granulare dall’aspetto secco, molto verosimile a quello acquistato. Altre preparazioni, invece, inseriscono tra gli ingredienti l’olio come conservante.

Noi invece vi segnaliamo la ricetta di Stefania Rossini, tratta da “Vivere in 5 con 5 € al giorno“, a nostro avviso più leggera, rapida, in quanto non prevede cottura, e personalizzabile.

Ingredienti :
  • 500 g di sale marino fine, possibilmente integrale
  • 500 g di cipolle
  • 500 g di carote
  • 100 g di prezzemolo
  • 100 g di sedano
  • 100 g di rosmarino
  • 100 g di salvia

L’unico conservante di questo dado è il sale, che garantisce la durata del prodotto lungo tutto l’inverno. Potrete prepararlo con le verdure che più vi piacciono o che avete a disposizione: la lista degli ingredienti è puramente indicativa .
Se la quantità di verdure è minore ( o maggiore) sarà necessario modificare anche la quantità di sale. Come vedete la quantità di sale è di 500 grammi per 1,5 Kg di verdure e aromatiche.
Lavate ed asciugate le verdure. Tritate finemente il tutto in un frullatore . Mettete il composto ottenuto in una ciotola e integrare il sale. Il dado si conserva in barattoli di vetro, precedentemente lavati bene. Riporre i barattoli in frigo ed utilizzare il dado granulare così ottenuto come consuetudine per insaporire in sostituzione del sale.

Volendo il dado può essere porzionato nelle vaschette del ghiaccio e conservato nel congelatore, per prolungarne la durata.

Pane al grano saraceno senza cottura (raw) e senza glutine

Abbiamo già parlato del “Raw food” nel post sul gelato con 1 ingrediente : durante la preparazione di questo cibo non è prevista l’utilizzo di temperature superiori ai 40 °. Per realizzare questo tipo di pane, infatti, non è prevista una cottura classica, ma un’essiccazione al sole o in essiccatore. Non è previsto lievito, quindi non sarà un pane soffice, ma piuttosto una schiacciatina croccante, tipo cracker. Il grano saraceno, che abbiamo già utilizzato anche per la preparazione della pasta fresca, non contiene glutine, quindi questa ricetta è indicata anche per i celiaci .

Ingredienti:

  • 1/2 Kg di grano saraceno
  • 1 Kg di zucchine
  • aromi e spezie ( aglio, cipolla, rosmarino, prezzemolo..)
  • 1 cucchiaino di sale
  • 2-3 cucchiai di olio extravergine di oliva
  • 2-3 tazze di semi di lino ( in alternativa altri semi, che danno gusto e croccantezza )

Mettere in ammollo per almeno 12 ore il grano saraceno. Tritare finemente in un mixer le zucchine, poi aggiungere il grano bel lavato e scolato, e poi tutti gli altri ingredienti. Bisogna ottenere un impasto liscio ed omogeneo.

Stendere l’impasto in sfoglie sottili ( più sono sottili, prima si seccano ). L’ideale sarebbe utilizzare la macchina a manovella per stendere la pasta. Stendere le sfoglie al sole su telai e lasciare asciugare per mezza giornata, avendo l’accortezza di capovolgerle. Oppure inserire in essiccatore per 4-6 ore per lato.

Le zucchine, come il lino, possono essere sostituite da altre verdure a piacere, come ad esempio carote o zucca.

Volendo se ne può fare una versione dolce, sostituendo il sale con lo zucchero ( o miele ) e le verdure con bacche di goji, uvetta, ciliegie o altra frutta, purché non apporti troppa umidità al composto che altrimenti impiegherebbe molto più tempo per essiccarsi.

Con questi quantitativi si ottengono davvero molte sfoglie, che si conservano in un recipiente ermetico per molti giorni.

 

 

 

Crema di nocciole fatta in casa 

crema di nocciole fatta in casaCrema di nocciole fatta in casa
(Tratta da “Fatto in casa – Smetto di comprare tutto ciò che so fare” di Lucia Cuffaro )

Ingredienti e occorrente :
– 150 g di nocciole sgusciate
– 150 g di cioccolato fondente
– 5 cucchiai di zucchero di canna o miele
– 2 tazzine latte bio (anche vegetale)
– barattolo di vetro

Tostare nel forno o in padella per cinque minuti a fuoco basso le nocciole sgusciate . Disporle su un panno e sfregarle per eliminare le pellicine . inserirle in un frullatore e tritare fino ad ottenere una farina grossolana .
Sciogliere a bagnomaria il cioccolato ed incorporare il trito di nocciole , lo zucchero o il miele , il latte ( a temperatura ambiente) . Se il composto risulta poco cremoso , aggiungere altro latte . Trasferire la crema in un barattolo pulito . Si conserva per un mese in frigo , ma probabilmente finirà in pochi giorni !

Si può sostituire il cioccolato fondente , con quello al latte o bianco .

E i gusci delle nocciole? Si possono riutilizzare cospargendo il terriccio dei vasi come pacciamatura , per isolare le radici dal caldo estivo ( riducendo la dispersione di acqua) e dal freddo invernale .

Erbe spontanee e surrogati del caffè

Erbe spontanee e surrogati del caffè[Tratto da “Succhi e centrifughe” Di Pat Crocker]

Nessun tipo di erba può sostituire il sapore del caffè o dare lo stesso apporto di caffeina. Per preparare il vostro gustoso surrogato del caffè, utilizzate tutte le radici qui elencate: astragalo, bardana, cicoria, echinacea, liquirizia, romice, tarassaco, altea e ginseng.
Ogni radice ha gusti e proprietà differenti e possono essere miscelate tra di loro , volendo anche con aggiunta di spezie .
Per tostare le radici fresche , preriscaldare il forno a 150 ° , pulirle bene e ridurre in pezzi di media grandezza . Adagiare su una teglia non unta e lasciare in forno per 45 minuti . Abbassare il forno a 100 ° per un’altra ora , rigirando ogni 20 minuti . Far raffreddare prima di utilizzarle .
Per tostare radici essiccate : in erboristeria si trovano già essiccate, la tostatura conferisce un sapore più forte , ma non è indispensabile . Anche in questo caso adagiare su una teglia per 20 minuti o finché non saranno brunite.

Per preparare il caffè, occorre tritare le radici in un macina caffè o in mixer . E’ sufficiente 1 ml ( 1 cucchiaino ) di radice per tazza (250 ml) di acqua [ndr: probabilmente sono le dosi per un caffè lungo , all’americana! Si consiglia di sperimentare e modificare eventualmente il rapporto radici-acqua], utilizzando la tradizionale macchinetta del caffè .

Detersivo per piatti a mano o in lavastoviglie fatto in casa

detersivo per piatti fatto in casa(Tratto da “Fatto in casa. Smetto di comprare tutto ciò che so fare ” di Lucia Cuffaro )

I comuni detersivi in commercio hanno più effetti collaterali, che benefici, a cominciare dall’essere estremamente aggressivi sulla pelle e, ovviamente, sull’ambiente. Oggi vediamo insieme come sia facile realizzarne uno interamente biodegradabile e non irritante per le mani. Anzi, come vedremo, nella versione con acqua di cottura del riso (si, avete letto bene!), sarà anche lenitivo grazie alla presenza dell’amido.

Ingredienti e materiali :

  • 3 limoni di dimensione media (circa 500 grammi)
  • 300 ml di acqua
  • 200 g di sale fino
  • 200 ml di aceto bianco
  • pentola
  • frullatore
  • dispenser in plastica e barattoli di vetro

Per avere un pulito senza macchie “di coscienza” possiamo sostituire il detersivo per piatti a mano, quello per lavastoviglie, i guanti di plastica e il brillantante con ingredienti naturali, economici e facilmente reperibili, con cui potremo prepararci da noi un detersivo naturale, non inquinante e anallergico.
Utilizzandolo, eviteremo dermatiti e fastidiose allergie, che sono sempre più comuni, facendo anche qualcosa di utile anche per il pianeta.
Potrà sembrare poco, una goccia nel mare, specie se confrontato all’inquinamento prodotto da traffico o industria, ma pur sempre una goccia pulita in più!
Tagliamo allora in piccoli spicchi i tre limoni, di dimensione media − circa 500 g − e maturi (vanno bene anche ammaccati), cercando
di togliere tutti i semi. Non importa che siano rondelle, cubetti o quant’altro: l’operazione serve solo a facilitare il lavoro del frullatore o del mixer. Sempre meglio comprare agrumi bio, o ancor meglio coglierli dal proprio alberello. Non serve avere un giardino: va bene anche un piccolo
terrazzo, dato che la produzione dei limoni è “garantita” anche in vaso!
Mettiamo, dicevamo, i pezzi di limone in un mixer o frullatore, assieme a 200 g di sale e un po’ dell’acqua che abbiamo preparato (50 ml dei
300 totali).
Frulliamo il più finemente possibile, cercando di ottenere una purea.
Versiamo il composto in una pentola in acciaio inox o di altro materiale: l’importante è che non sia di alluminio, altrimenti reagirà con il limone
diventando verde! Aggiungiamo anche il resto dell’acqua (i 250 ml rimanenti) e 200 ml di aceto bianco. Facciamo bollire per circa quindici
minuti, mescolando spesso con un cucchiaio di legno per non far attaccare il composto al fondo. Durante la bollitura è consigliabile tenere l’ambiente aerato, poiché i vapori dell’aceto potrebbero dar fastidio alla respirazione. Quando il composto è morbido e omogeneo come una crema pasticciera, il detersivo per i piatti è pronto.
Se ci sono ancora dei grandi grumi si può frullare di nuovo. È talmente bello e vellutato che spesso mi sbaglio e intingo il dito per assaggiarlo!
Versiamolo, una volta raffreddato, in barattoli di vetro, dove si conserverà perfettamente per quasi due mesi in frigorifero.
Una parte invece versiamola subito in un comodo dosatore con beccuccio per detersivi, o anche in un flacone usato di sapone per le mani o per
il corpo, che potremo quindi riciclare all’infinito.
Questo detersivo è un “due per uno”, grazie al suo doppio utilizzo.
Primo, perché può essere usato per i piatti a mano versandone un po’ su una spugnetta. Per potenziarne l’effetto si deve utilizzare acqua calda
(senza sprecarla ovviamente!) o − ancor meglio − l’acqua di cottura della pasta e del riso, che, essendo naturalmente ricca di amido, sgrassa, deterge e nutre al contempo le nostri mani. Lavando i piatti con questo detersivo non avremo neanche bisogno dei guanti in gomma, poiché questo prodotto, essendo completamente naturale, non provoca allergie e non rovina le mani: anzi, le profuma, eliminando odori forti come pesce, cipolla o aglio, e le esfolia leggermente rendendole morbide grazie alla presenza dei piccoli grumi di sale e limone.
Secondo, può essere utilizzato anche per il lavaggio in lavastoviglie. Per un pieno carico ne servono due-tre cucchiai. Le stoviglie usciranno dal
lavaggio perfettamente pulite e anche profumate.