Birra di ortica: come ottenere un surrogato della birra dall’ortica

La versatilità delle erbe spontanee permette con un po’ di fantasia di realizzare un intero pasto, dall’antipasto al dolce, terminando addirittura con un surrogato del caffè. Ma forse non tutti sanno che dall’ortica, già spesso citata per la preparazione del macerato, è possibile ottenere anche una freschissima e dissetante birra.

Bisogna subito precisare che, come il surrogato del caffè non contiene caffeina, anche questa specialissima birra non è alcolica, o meglio, lo è, ma in percentuali molto trascurabili. Come accennato anche per il limoncello senza zucchero (noi lo abbiamo preparato con la Stevia), in un processo di fermentazione, la percentuale di alcol viene influenzata dal quantitativo di zucchero: aumentando la quantità di zucchero, se ne aumenta la gradazione alcolica.

Il periodo ottimale per realizzare la birra di ortica è sicuramente la primavera: le ortiche non devono presentare infiorescenze. Quindi se si desidera realizzarla anche in altri periodi dell’anno, le piante devono necessariamente essere molto giovani.

Come consigliamo spesso, la raccolta delle erbe spontanee deve avvenire in luoghi incontaminati, lontani dallo smog cittadino. Mai raccogliere in maniera indiscriminata piante di cui non si conosce con certezza l’identità, mai in quantità superiori alle reali esigenze e comunque in proporzione alla distribuzione: non sarà il caso dell’ortica, ma se notate che ci sono pochi esemplari di una varietà, è consigliabile non raccoglierle affatto.

Ultimo consiglio, ma non meno importante, munirsi sempre di guanti per la raccolta: l’ortica smette di essere urticante da cotta o quando, una volta sradicata, inizia ad appassire. Nel frattempo è sempre preferibile maneggiarla con cura.

Occorrente:

  • 1 Kg di cime di ortica fresca, non essiccata
  • 1 limone
  • 10 grammi di radice di zenzero fresco
  • 4.5 litri di acqua
  • 600 grammi di zucchero
  • 20 grammi cremor tartaro
  • 1 bustina di lievito di birra
  • contenitori e recipienti vari

La birra di ortica si ottiene con la fermentazione delle foglie di ortica, che viene innescata dal lievito di birra (per intenderci, quello tipico per la preparazione della pizza) e dal cremor tartaro. In Italia è poco noto, ma anche il cremor tartaro, o cremore di tartaro, è un agente lievitante del tutto naturale, ottenuto da acido tartarico estratto dall’uva o dal tamarindo. Prima della fermentazione, tuttavia, le ortiche vanno prima lavate e private di eventuali radici e fusti: le parti migliori sono le cime, approssimativamente le prime sei foglie. Le cime di ortica vanno così inserite in una pentola con l’acqua, lo zenzero, il succo e la buccia del limone. Si porta il tutto ad ebollizione e si spegne il fuoco dopo 30 minuti. A questo punto si filtra il liquido verdognolo (colore dato perlopiù dalla clorofilla) così ottenuto, strizzando con forza l’ortica per tirarne fuori tutto il sapore della pianta. Si riporta nuovamente il liquido in pentola e si aggiungono lo zucchero e il cremor tartaro. Si riscalda il composto, fino al completo scioglimento dello zucchero. A questo punto si trasferisce la futura birra in una capiente contenitore e lo si fa raffreddare fino al raggiungimento dei 20°C. Solo allora sarà possibile inserire e disciogliere anche il lievito di birra (il contenuto di una bustina, circa 10 grammi). Coprire il contenitore non ermeticamente, ma il giusto da non far entrare polvere o altro. Tenere il contenitore a temperatura ambiente per 4-5 giorni, poi travasare la birra in bottiglie di vetro, facendo attenzione a non imbottigliare anche i sedimenti depositati sul fondo del contenitore.

La birra così ottenuta sarà dolce e frizzante, anche troppo frizzante. Infatti l’effervescenza della birra di ortiche può risultare così esplosiva, che si consiglia di stappare le bottiglie all’aperto, per evitare spiacevoli sorprese.

La birra di ortica si conserva per pochi mesi in frigo. Maturando, la dolcezza si riduce. Complessivamente al gusto ricorda molto quello del sidro. Come tutte le birre, la bibita va servita rigorosamente fredda.

 

 

 

 

Alimurgia pratica: l’erbazzone

erbazzoneL’Alimurgia richiede due abilità fondamentali: la capacità di riconoscere le erbe spontanee edibili da quelle potenzialmente pericolose e una buona dose di inventiva in cucina. Fortunatamente entrambe sono abilità facilmente acquisibili con l’esperienza “sul campo” nel vero senso della parola!  Il modo più semplice è andare a passeggio in zone lontane dal traffico con una persona più esperta o con un buon libro sul tema e testare con mano. Per l’aspetto culinario, invece, oltre ai libri, si può scavare nella tradizione dei piatti tipici regionali.  L’erbazzone, ad esempio, nasce come piatto povero, costituito perlopiù da erbe spontanee, ripassate in padella, racchiuse in una pasta sottile e cotto al forno. Negli anni la ricetta è stata rielaborata e arricchita con salumi, formaggio e le erbe spontanee sostituite da spinaci e bietole. Ritornando alle origini, l’erbazzone può quindi essere realizzato tranquillamente con un miscuglio di foglie di tarassaco, piantaggine, farinello (chenopodium ), cicorietta, in base alle disponibilità, riscoprendo gli antichi sapori di questa prelibata torta salata. In realtà, molte delle odierne preparazioni con gli spinaci, in origine erano preparazioni con le spontanee, come ad esempio nei ravioli e nei risotti.

Libri consigliati :

Gruppi Facebook interamente dedicati alle erbe spontanee :

In tempo di crisi si riscopre l’alimurgia, la scienza delle erbe spontanee

L’alimurgia o fitoalimurgia è la scienza di riconoscere e impiegare le erbe spontanee non solo per fini curativi, ma anche e soprattutto come alimento. Le piante alimurgiche vennero impiegate principalmente nei periodi di carestia e nei dopoguerra, ma sono state riscoperte anche oggi per piacere o necessità .
Non tutte le erbe spontanee sono alimurgichee per l’uomo. Inoltre vanno raccolte possibilmente in zone lontane dallo smog.
Nel dettaglio delle foto le quattro piante alimurgiche più diffuse: portulaca, ortica, farinello comune (Chenopodium album), tarassaco.

Portulaca oleracea 

E’ unaPortulaca pianta particolarmente infestante.
In ogni regione ha un nome differente: purselana (Liguria), erba grassa (Lombardia), barzellana (Sardegna), purcacchia o purcacc (Lazio), porcacchia (Marche), precacchia (Abruzzo), porcacchia o perchiacca (Basilicata), pucchiacchèlla, chiaccunella(Campania), perchiazza, sportellecchia (Toscana), andraca, purchiacca (Calabria), purciaca o purciddana (Sicilia), perchiazza o spurchiazza (Puglia), ‘mbrucacchia o brucacchia (Salento).

I germogli più teneri vengono impiegati crudi in insalata, tipo rughetta. Mentre le foglie più coriacee in minestre o frittate.

E’ ricchissima di omega-3 (adatta quindi alle persone affette da problemi cardiovascolari), un discreto apporto proteico (indicata nelle diete vegetariane o vegane).

 

ortica L’ortica è l’erba spontanea più nota e riconoscibile a causa delle sostanze urticanti che si sprigionano se toccata.
Gli impieghi sono molteplici, dall’uso tessile a quello erboristico.
Tuttavia può essere utilizzata anche in cucina esclusivamente cotta, in quanto la cottura inibisce le sostanze urticanti.
Può essere usata in minestre, risotti, frittate, frittelle.
E’ ricchissima di ferro (più degli spinaci), minerali e vitamine. Nel nostro blog abbiamo realizzato addirittura la birra e un ottimo macerato contro i parassiti.

 

Farinello comune ( Chenopodium album )

Farinello comune (Chenopodium album)

E’ diffuso in tutta Italia e può avere molte forme e colorazioni (dal verde all’amaranto). E’ uno spinacio selvatico, e, in quanto tale, può essere impiegato allo stesso modo.

 

 

 

Tarassacoll tarassaco è il re indiscusso in cucina per la versatilità.
Con il rizoma si può ottenere un surrogato del caffè
Con i fiori ancora chiusi , una sorta di “cappero” sotto sale , mentre con quelli aperti, il “miele” (sciroppo), chiamato anche “miele vegano di tarassaco“, un vero toccasana per la tosse e il mal di gola . E con le foglie il famoso erbazzone.
E , come se non bastasse, il tarassaco, oltre ad avere mille e più proprietà terapeutiche, è anche una pianta mellifera, quindi attrae gli insetti pronubi, ovvero gli impollinatori
.

 

Non chiamiamole più “erbacce”!

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Letto per voi: recensione alla nuova edizione de “L’erba del vicino” di Elisa Nicoli

L'erba del vicino - Elisa NicoliLa riedizione di un libro è sempre un buon segno: in linea di massima significa che il libro è piaciuto e l’autore non ha smesso di sperimentare ed approfondire l’argomento. E questo è proprio quello che è successo a “L’erba del vicino”.
La precedente edizione aveva almeno due punti di forza. Il primo era la passione travolgente dell’autrice nel raccontare un argomento che, se non vissuto in prima persona come una sorta di missione, rischiava di essere una piatta trascrizione di un erbario.Il secondo punto di forza era, strano a dirsi, la “tascabilità”.
A distanza di sei anni dalla prima edizione, “L’erba del vicino” si è arricchito di altri aneddoti, approfondimenti e le storie di persone speciali che Elisa ha conosciuto durante le sue ricerche. Riconoscere ed usare le erbe spontanee è un modo per ricreare un contatto con la natura, nel rispetto dei cicli e le stagionalità: ormai l’agricoltura “industrializzata” ci ha abituati ad avere tutte le varietà di frutta e verdura tutto l’anno, mentre allo stato selvatico bisogna saper aspettare ed ogni mese serba nuove scoperte e nuove risorse (citando l’autrice: “L’Eden era selvatico, non coltivato! “).
Nel libro sono state aggiunte altre 12 schede (in totale 48) di piante ed illustrazioni finalmente a colori.
In merito al secondo punto di forza, la nuova edizione è leggermente più grande ( l’abbiamo misurato: circa mezzo centimetro per lato – 11 x 16), quindi è ancora molto tascabile: aspetto non trascurabile per una guida da portarsi dietro durante le escursioni. Anche se chiamarla guida è riduttivo: è un’esperienza di vita!

L’Eden era selvatico, non coltivato!

L’erba del vicino è il manuale pratico di raccolta e uso d’erbe e frutti selvatici: perché andar per campi è una pratica antica, un piacere primitivo che ci apre al mondo di prati, rovi e alberi.

48 schede e immagini di piante a colori, fiori e frutti facili da trovare e riconoscere, dall’ortica al melo selvatico, e i consigli per usarle in modo conviviale. Le storie affascinanti di chi ancor oggi vive di raccolta, i luoghi e gli eventi “selvatici”.

  • Autore : Elisa Nicoli

  • Libro – Pagine 128

  • Formato: 11×16

  • Anno: Edizione 2016

 

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