Decorazioni autunnali fai da te

L’autunno è una stagione per molti ritenuta malinconica, ma in realtà è il momento dell’anno in  la natura si trasforma utilizzando una tavolozza di colori caldi e accoglienti.

È il momento perfetto per creare splendide decorazioni autunnali fai da te che trasformino la nostra casa in un rifugio invitante e avvolgente.

Le decorazioni autunnali sono anche un modo meraviglioso per celebrare la bellezza di questa stagione e portare un tocco di calore e comfort nella nostra vita quotidiana.

La ghirlanda

Una delle decorazioni autunnali più iconiche è sicuramente la ghirlanda.

Le ghirlande autunnali sono realizzate con foglie secche, fiori, frutti e rami, che riflettono i colori caldi e terrosi dell’autunno. Possono essere appese alla porta d’ingresso o utilizzate come centrotavola per aggiungere un tocco autunnale alla nostra casa. Le ghirlande possono essere acquistate già pronte o realizzate in modo personalizzato utilizzando materiali raccolti in natura.

Le zucche

Le zucche sono un simbolo autunnale per eccellenza e sono perfette per decorare la nostra casa durante questa stagione. Possono essere intagliate per creare lanterne o semplicemente disposte in modo decorativo su tavoli e davanzali. Non devono essere necessariamente arancioni; esistono varietà di colori diversi che possono essere combinate per creare composizioni affascinanti. Inoltre, possono essere utilizzate per creare centrotavola originali, utilizzando candele e fiori per un tocco di eleganza.

Per chi ha molta manualità con l’uncinetto, si può anche pensare di realizzare una zucca con l’uncinetto: risultato finale spettacolare!

Le foglie

Altro elemento abbondante e rappresentativo dell’autunno sicuramente sono le foglie. Quelle secche danno un tocco in più alle decorazioni autunnali. Possiamo raccoglierle durante una passeggiata in campagna o acquistarle in negozi specializzati. Le foglie secche possono essere utilizzate in molti modi diversi: possiamo riempire vasi di vetro trasparente per creare dei simpatici decori da tavolo, oppure incollarle su una ghirlanda per un tocco rustico. Sono anche perfette per creare bellissime composizioni su tavoli e mensole.

Le candele

Le candele sono un elemento essenziale per creare un’atmosfera accogliente in autunno. Quelle profumate con fragranze come cannella, mela e zucca possono aggiungere una nota deliziosa alla nostra casa. Possiamo posizionarle su portacandele rustici o all’interno di zucche intagliate per un effetto davvero suggestivo. O arricchite con fette di arance essiccate. Inoltre, le candele possono essere inserite in lanterne decorative da utilizzare sia all’interno che all’esterno.

Un altro modo per decorare la nostra casa in autunno è utilizzare tessuti caldi e avvolgenti. Coperte e cuscini con motivi autunnali, come foglie, zucche o castagne, possono essere distribuiti sul divano e sulle sedie per creare un ambiente confortevole e invitante. Inoltre, le tovaglie con stampe autunnali possono essere utilizzate per preparare tavole apparecchiate per cene e pranzi in compagnia.

Infine, non dimentichiamoci dei fiori. Anche se l’autunno è spesso associato a una diminuzione dei fiori in giardino, ci sono comunque molti tipi di fiori che sbocciano in questa stagione. Le dalie, i crisantemi e le calle sono solo alcune delle opzioni disponibili. Possiamo creare composizioni floreali con questi fiori e aggiungere rami di bacche e foglie per un tocco autunnale. Le composizioni floreali possono essere collocate sul tavolo da pranzo, sul camino o su qualsiasi altra superficie che desideriamo decorare.

In conclusione, le decorazioni autunnali sono un modo meraviglioso per celebrare la bellezza di questa stagione e creare un’atmosfera accogliente nella nostra casa. Con ghirlande, zucche, foglie secche, candele, tessuti e fiori, possiamo trasformare il nostro ambiente in un luogo caldo e avvolgente, perfetto per godere di tutto ciò che l’autunno ha da offrire. Che si tratti di una cena in famiglia o di una serata  con gli amici, le decorazioni autunnali renderanno l’esperienza ancora più speciale.

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L’eucalipto arcobaleno, l’albero dal tronco variopinto che incanta e stupisce

Capita molto spesso di imbattersi online in foto tanto belle da far venire il dubbio che si tratti di foto ritoccate o totalmente ricostruite graficamente.

Come sempre l’atteggiamento più saggio è quello di verificare la veridicità di una foto (ma anche di una notizia) prima di ricondividerla. A volte può bastare anche una rapida ricerca su Google per capire se si tratta di una bufala o meno.

In un precedente articolo abbiamo avuto lo stesso dubbio sulla foto di un deserto fiorito. Questa volta la curiosità ci ha portato ad approfondire le nostre conoscenze a proposito di una foto di tronchi variopinti dai colori sgarcianti e quasi innaturali.

Anche in questo caso abbiamo ricorso al fido motore di ricerca, per scoprire con grande meraviglia che la natura è capace di superare qualunque grafico o programma di ritocco.

Esiste, infatti, una varietà di Eucalipto, l’eucalipto deglupta, dalla corteccia liscia, tendenzialmente arancione, attraversata da strisce longitudinarie dai colori variabili (giallo, verde, blu, viola, rosso). Ogni esemplare di eucalipto deglupta può differire dall’altro per tonalità e conformazione delle strisce, diventando un pezzo unico, come una vera e propria opera d’arte. La colorazione della corteccia varia anche in base all’età: più la corteccia è di recente formazione, più i colori sono brillanti. Successivamente, infatti, la colorazione della corteccia tende ad inscurirsi. Il termine “declupta” è di origine latina e, letteralmente, significa “sfogliare”, per la tendenza della corteccia a perdere gli strati superficiali sostituiti con altri sottostanti già pronti.

Origine ed habitat dell’Eucalipto arcobaleno

Il genere Eucalipto conta circa 700 specie e l’eucalipto arcobaleno è l’unica specie del suo genere a vivere in una foresta pluviale. E’ originario delle Filippine, dell’Indonesia e della Papua Nuova Guinea.

Si adatta a climi miti, senza gelate. Viene coltivato in quasi tutto il mondo per la produzione di carta. Infatti solo la corteccia superficiale è colorata, mentre la pasta di legno, dalla quale si ricava la carta, è bianca.

Ovviamente viene coltivato anche per scopi ornamentali. Ha crescita piuttosto rapida e può raggiungere i 60-70 metri d’altezza.

Il fiore dell’eucalipto arcobaleno

Molti si staranno chiedendo come sarà il fiore di un albero così spettacolare.

Sarà altrettanto sgargiante e variopinto?

In realtà la risposta è negativa: il fiore dell’eucalipto arcobaleno, o meglio l’infiorescenza, è costituito da semplicissimi gruppetti di fiori bianco-giallo pallido di piccole dimensioni.

 

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Ecosia: affidabilità e funzionamento del motore di ricerca green

Il motore di ricerca ecologico non è un progetto recente. Anzi, ha all’attivo circa 10 anni di ricerche, in quanto lanciato nel 2009 e sviluppato con la tecnologia di Bing e Yahoo. Ecosia da sempre promette che tutti i ricavati (circa l’80 %) vengono sistematicamente reinvestiti nella riforestazione di zone come Brasile, Perù, Indonesia e Madagascar. In circa 10 anni di attività, il motore di ricerca green non ha mai avuto tanta popolarità come nelle ultime settimane. Questo sicuramente grazie al grande lavoro di sensibilizzazione di Greta Thumberg, ma anche a causa dell’emergenza incendi in Amazzonia. Ecosia, infatti, ha provato a rilanciare il progetto come rimedio pratico ai danni subiti dal polmone verde della terra.

Fin dal lancio del motore di ricerca la domanda che si è posto l’utente medio è <<Ecosia fa realmente quello che promette o è solo una bufala?>>

Andando per gradi, spieghiamo bene cos’è, come funziona e cosa fa Ecosia.

Cos’è e come funziona Ecosia

Ecosia nasce come motore di ricerca che vuole sfidare (o almeno ci prova) Google, a colpi di alberi piantati in giro per il mondo. Tuttavia di base c’è un equivoco. Ecosia, come tutti i motori di ricerca, guadagna non dal numero di ricerche, ma dal numero di click che l’utente fa sulle pubblicità degli inserzionisti. Quindi dire che più si fanno ricerche su Ecosia, più saranno gli alberi piantati non è tecnicamente corretto. Infatti negli anni le informazioni al riguardo sul sito sono state via via modificate: inizialmente avevano indicato un guadagno medio di 0,13 € per ricerca, poi un albero piantato per ogni 45 ricerche. Ad oggi invece, spinti dalla richiesta da parte degli utenti di una maggiore trasparenza, è esplicitamente scritto che le pubblicità legate alle ricerche generano introiti.

Se da una parte effettivamente è stato dimostrato che negli anni i proventi, o buona parte, siano stati investiti nell’istallazione di più di 75 milioni di alberi (dati autodichiarati da Ecosia, ma confermati dal WWF, partner del progetto), dall’altra la piattaforma si alimenta al 100% con fonti rinnovabili, riducendo anche le emissioni di anidride carbonica. Dunque i fondatori di Ecosia sono riusciti a rendere ecofriendly anche una tecnologia notoriamente poco sostenibile.

Ecosia può essere utilizzato online attraverso il dominio www.ecosia.org, oppure come estensione di Chrome (cliccando sul tasto in home) e anche con l’app dedicata scaricabile dal sito o dai marketplace.

Ecosia è una bufala o una bella realtà?

In conclusione trovare aspetti negativi in Ecosia sembra difficile. Molti sollevano il dubbio che per essere un’azienda a fine di lucro, gli introiti sono troppo bassi per essere anche tutto vero quanto dichiarato. La spiegazione probabilmente risiede nella gestione della startup, con sede in Germania e dai pochissimi dipendenti, circa 6-7. Quindi a differenza di Google, pur dovendo fronteggiare spese e sostentamento, riesce a sopravvivere anche solo con il 20% delle entrate perché spesso ‘piccolo è meglio’! Dunque lasciare gli altri motori di ricerca per un’alternativa più attenta alle problematiche ambientali è un piccolo cambiamento che può generare grandi risultati.

 

 

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Invasione (pacifica) di libellule a Torino: un fenomeno annuale tipico di agosto

Negli scorsi giorni molti abitanti di Torino hanno pubblicato sui social spettacolari foto di balconi completamente invasi da libellule giallo oro. Lo stupore di poter vedere un numero così grosso di questi leggiadri insetti si è manifestato in tutta la città, ma con una concentrazione maggiore nel quartiere di Borgo San Paolo. La domanda ricorrente che accompagnava le foto era: ma cosa fanno?

Molte testate locali hanno un po’ ingigantito la notizia creando allarmismo, cercando di farla passare come un segno di chissà che catastrofe imminente, conseguenza del surriscaldamento globale.

Il fenomeno in realtà a quanto pare si verifica con una cadenza quasi annuale, puntualmente nella prima settimana di agosto. Ricorrendo a Google, abbiamo trovato un articolo datato 1989 nell’archivio de La Repubblica. Addirittura, scavando ancora più a fondo, siamo risaliti ad un’osservazione del naturalista Vittore Ghiliani che ha documentato lo stesso fenomeno nella metà del 1800. Quindi non è un fenomeno recentissimo.

Cominciamo subito con lo specificare che la Anax ephippiger, nome scientifico di questa bellissima libellula, non è un insetto dannoso, né per l’uomo, né in agricoltura. Anzi, dal momento che si nutre di zanzare, sia allo stadio larvale, che da adulte, una presenza massiccia di libellule non può che essere una nota positiva. Dunque se proprio si vuole usare il termine “invasione” è del tutto pacifica.

Gli avvistamenti degli sciami avvengono perlopiù nelle ore serali, quando c’è una maggior concentrazione di zanzare.

La Anax ephippiger, chiamata anche imperatore vagabondo, è una specie proveniente dal Nord Africa. Si riproduce in acque ferme, ma non si riproducono nelle vicine risaie vercellesi, come si potrebbe ipotizzare, in quanto con le nostre temperature in inverno non potrebbero sopravvivere. In realtà Torino e le zone limitrofe rappresentano un punto di passaggio, una tappa obbligata, nel loro itinerario migratorio. A testimonianza di quanto affermato, è la durata del fenomeno che dura pochissimi giorni. Infatti già nella seconda settimana di agosto non sono stati più segnalati avvistamenti.

In conclusione, le Anax ephiger, pur essendo termofile, ovvero amano gli ambienti caldi, non vengono attratte dalla città a causa dei cambiamenti climatici, ma semplicemente migrano.

Quindi niente allarmismo e godiamoci lo spettacolo!

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Curiosità: il pomodoro è un frutto o è un ortaggio?

Durante un’intervista un ex regbista irlandese, Brian O’Driscoll, per meglio esprimere un concetto disse che << la conoscenza è sapere che il pomodoro è un frutto, la saggezza è non utilizzarlo in una macedonia! >>.

Forse non tutti sanno che il pomodoro, infatti, non è esattamente un ortaggio, ma un frutto, anzi, più precisamente è una bacca.

L’errore di base è causato dalla tendenza di definire frutta tutti i vegetali dolci e ortaggi tutti gli altri. In realtà la distinzione tra frutto ed ortaggio (o verdura) è esclusivamente una scelta culinaria di etichettare il cibo. In botanica, invece, la definizione di frutto è molto diversa ed ha un significato molto più preciso: si intende frutto la struttura modificata dell’ovario dopo la fecondazione, all’interno del quale sono contenuti i semi. Dunque da un punto di vista strettamente scientifico, sono frutti anche le melanzane, le zucchine, zucche, ecc..

Viceversa, sempre da un punto di vista scientifico, quelli che in cucina sono impropriamente definiti come frutti, in realtà sono falsi frutti, come la mela (il vero frutto è il torsolo), o le fragole, in cui il vero frutto sono gli acheni, quelle capsuline gialle poste all’esterno.

Perché si elenca solo il pomodoro tra i “falsi ortaggi”?

Il pomodoro, pur non essendo il solo esempio di falso ortaggio, è sicuramente quello più citato. La spiegazione di tanta attenzione potrebbe risiedere forse nel nome: pomodoro deriva dalle parole pomo (mela) e d’oro, in quanto inizialmente i pomodori erano di color giallo. Infatti solo successivamente, come per le carote, in seguito alle ibridazioni e alle selezioni, il pomodoro ha cambiato via via colorazione, sebbene ad oggi sia disponibile anche nel colore originale. Dunque un nome che nasconde la risposta ad un dilemma.

Curiosità sui pomodori e l’ambiguità “frutta-ortaggio”

La difficile classificazione del pomodoro portò nel 1893 la Corte Suprema degli Stati Uniti ad ufficializzare l’appartenenza di questa diffusissima solanacea alla categoria ortaggi. All’epoca, infatti, la frutta non era tassata e poteva essere importata senza dazi, cosa che non accadeva per gli ortaggi, soggetti a tariffe anche piuttosto alte. Dunque, in un contesto economico, la disputa si è conclusa etichettando i pomodori come degli ortaggi, con la spiegazione della Corte che nell’uso comune vengono impiegati come tali.

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Il deserto fiorito del Cile: un fenomeno che si verifica ogni 5 anni

Capita periodicamente che alcune foto diventino virali sui social. Molto spesso quanto più inverosimile sembra il soggetto della foto, tanto più viene ricondivisa. Il più delle volte si tratta di veri e propri fotomontaggi, accompagnati da notizie false o prive di alcun fondamento.

Negli ultimi giorni molto probabilmente ti sarà capitato di imbatterti nella foto di un deserto fiorito, accompagnata da brevi e vaghe didascalie nelle quali si indica che si tratta del deserto di Atacama in Cile.

La foto è stata condivisa praticamente in tutto il mondo, ma, contrariamente da quanto detto nella premessa, non si tratta di una fake news, ma è una notizia vera e si tratta anche di un fenomeno molto particolare.

In Cile, infatti, più precisamente nella zona settentrionale, nella regione dell’Atacama, è situato un deserto che si estende fino al Perù meridionale. La caratteristica di questo deserto è quella di essere la zona più asciutta del mondo. La scarsità delle piogge è dovuta alla particolare collocazione geografica in cui confluiscono correnti opposte che creano un perenne campo di alta pressione.

Tuttavia, ciclicamente, con una cadenza media di circa 5 anni, avviene il fenomeno detto del “deserto fiorito”: le oscillazioni climatiche determinate da “El Niño” creano un innalzamento delle temperature dell’Oceano Pacifico, con conseguenti precipitazioni molto intense che trasformano le distese sabbiose in un campo fiorito.

Da un punto di vista scientifico, il deserto di Atacama è stato utile per il ritrovamento di batteri capaci di sopravvivere e riprodursi in totale assenza di acqua, aprendo nuove teorie e speranze sulla possibilità di trovare vita su Marte.

Nel mondo esistono altri due deserti che in presenza di abbondanti precipitazioni fioriscono: in Nord America, in prossimità di San Diego e in Australia.

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La barca di San Pietro: rito della notte tra il 28 e 29 giugno

Negli ultimi anni sono ritornati in grande auge molti riti della tradizione popolare, legati perlopiù al mondo contadino e alla previsione dei raccolti o del meteo. In precedenti post abbiamo visto molti rituali legati alla figura di San Giovanni Battista: abbiamo parlato principalmente della preparazione dell’oleolito di iperico e del nocino. Su Facebook invece abbiamo parlato più ampiamente dell’acqua di San Giovanni e del rito del cardo rivelatore. Nella raccolta di questi riti, che siano di tipo divinatorio (per prevedere il futuro) o di tipo apotropaico (per allontanare la cattiva sorte), l’elemento comune a tutti era la differenziazione in base alla regione di appartenenza. E’ fondamentalmente lo stesso anche per il rito di San Pietro. Si tratta di un rito divinatorio, ovvero in base all’esito è possibile sapere come andrà il raccolto, come sarà il tempo, quale sarà la salute dei componenti della famiglia o altri aspetti personali. Si è diffuso principalmente al Nord e cambia da regione a regione.

In cosa consiste il rito di San Pietro 

La notte tra il 28 e il 29 giugno si suole collocare una caraffa (o un qualunque contenitore di vetro trasparente, purché ampio) sul prato o sul davanzale, dove dovrà stare per tutta la notte a raccogliere anche la rugiada. Si inserisce acqua e l’albume di un uovo nel contenitore.

La mattinata del 29, giorno di San Pietro, in base alla formazione delle vele della barca, si prevede il futuro: vele aperte indicherebbero giornate di sole, vele chiuse, invece, pioggia e cielo nuvoloso. La tradizione vuole che durante la notte lo stesso San Pietro provveduta a formare le vele soffiando nell’acqua a testimonianza della vicinanza con i fedeli. Da regione a regione lo stesso rito dell’albume e dell’acqua viene affiancato anche alla figura di San Giovanni, quindi viene anticipato alla notte tra il 23 e il 24 giugno.

Spiegazione fisica al fenomeno

La spiegazione dell’innalzamento delle “vele” è riconducibile a due fattori: sbalzi di temperature tra notte e giorno e densità. La temperatura dell’acqua nella brocca dapprima si abbassa, facendo scendere sul fondo l’albume, per poi aumentare nella mattinata e far così ridurre la densità dell’albume portandolo a salire verso l’alto e a formare le vele del veliero.

Nesso tra la barca e San Pietro

San Pietro era originariamente un pescatore. Quindi la barca o il veliero è un elemento molto rappresentativo per il santo. In alcune regioni il rito esulava dalla sfera prettamente contadina e spesso veniva utilizzato proprio dai pescatori prima di andare in mare per prevedere le burrasche estive.

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Come realizzare una coroncina di fiori freschi usando solo fiori

In primavera, tempo permettendo, può capitare spesso di imbattersi durante un’escursione o una gita in un bel campo di fiori. Tra i più facili da trovare e riconoscere sono sicuramente i fiori del dente di leone (tarassaco), che con il loro giallo acceso portano subito allegria.

Una simpatica attività da fare all’aperto, anche in compagnia dei bambini, può essere la realizzazione di bellissime coroncine, utilizzando esclusivamente una tecnica di intrecci, che non richiede né forbici, nastri o speciali materiali da fioristi difficili da reperire.

La tecnica è semplice e si ripete per tutta la lunghezza della coroncina. Bisogna raccogliere i fiori con attenzione, cercando di ottenere gambi di almeno 15-20 cm. La lunghezza del gambo è fondamentale per dare robustezza e corposità alla coroncina, in quanto rappresentano la sua sola struttura portante.

Si comincia avvolgendo il gambo di un dente di leone intorno ai gambi dei primi due fiori che formeranno una sorta di “locomotiva” di questo treno floreale! Si procede facendo lo stesso intreccio anche con i successivi gambi fino ad ottenere la lunghezza desiderata. Se si desidera, è possibile sfalsare la disposizione dei fiori, dunque non tutti allineati, per poter avere una coroncina molto più ricca. La coroncina si chiude annodando gli ultimi gambi intorno ai primi due fiori e rimuovendo i gambi in eccesso.

Chiaramente si possono utilizzare anche altri tipi di fiori oltre al tarassaco, purché abbiamo un gambo sufficientemente lungo e flessibile da essere intrecciato intorno agli altri gambi. Un’altra caratteristica altrettanto importante è la durata da recisi: un fiore adatto ad essere utilizzato in una coroncina non deve appassire subito. Ad esempio il papavero, pur essendo bellissimo e avendo un gambo potenzialmente adatto ad essere intrecciato, è troppo delicato, tende ad appassire subito e a perdere i petali nel giro di pochi minuti.

Dunque in alternativa al tarassaco, si può utilizzare il trifoglio bianco, alternando foglie e fiori, anche se il risultato non sarà lo stesso perché i gambi sono più corti e sottili. Oppure si può utilizzare la pratolina. Anche la camomilla può essere intrecciata, utilizzando tutto il ramo, intrecciandola a mazzetti, con un risultato meno ordinato, ma sicuramente più naturale.

Il vantaggio di realizzare una coroncina di fiori senza utilizzare altri materiali? Si può realizzare ovunque, anche direttamente in un campo e quando comincia ad appassire si può buttare in compostiera: sarà biodegradabile al 100%!

Con la stessa tecnica di intreccio, con lunghezze differenti, si possono realizzare anche braccialetti, ghirlande, collane, vere e proprie catene da appendere…insomma, qualsiasi cosa si desideri, da tenere per sé o da regalare durante feste o un semplice picnic.

L’unica raccomandazione che facciamo sempre: quando raccogli erbe/fiori in natura, accertati di essere sicuro dell’identità, per non imbatterti in varietà velenose o protette. Se non ne conosci l’identità, non raccogliere nulla. Se sei certo che sia una pianta edibile e non protetta, raccogli, ma con giudizio: mai raccogliere più del 5% delle piante (o frazioni di esse) disponibili.

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Birra di ortica: come ottenere un surrogato della birra dall’ortica

La versatilità delle erbe spontanee permette con un po’ di fantasia di realizzare un intero pasto, dall’antipasto al dolce, terminando addirittura con un surrogato del caffè. Ma forse non tutti sanno che dall’ortica, già spesso citata per la preparazione del macerato, è possibile ottenere anche una freschissima e dissetante birra.

Bisogna subito precisare che, come il surrogato del caffè non contiene caffeina, anche questa specialissima birra non è alcolica, o meglio, lo è, ma in percentuali molto trascurabili. Come accennato anche per il limoncello senza zucchero (noi lo abbiamo preparato con la Stevia), in un processo di fermentazione, la percentuale di alcol viene influenzata dal quantitativo di zucchero: aumentando la quantità di zucchero, se ne aumenta la gradazione alcolica.

Il periodo ottimale per realizzare la birra di ortica è sicuramente la primavera: le ortiche non devono presentare infiorescenze. Quindi se si desidera realizzarla anche in altri periodi dell’anno, le piante devono necessariamente essere molto giovani.

Come consigliamo spesso, la raccolta delle erbe spontanee deve avvenire in luoghi incontaminati, lontani dallo smog cittadino. Mai raccogliere in maniera indiscriminata piante di cui non si conosce con certezza l’identità, mai in quantità superiori alle reali esigenze e comunque in proporzione alla distribuzione: non sarà il caso dell’ortica, ma se notate che ci sono pochi esemplari di una varietà, è consigliabile non raccoglierle affatto.

Ultimo consiglio, ma non meno importante, munirsi sempre di guanti per la raccolta: l’ortica smette di essere urticante da cotta o quando, una volta sradicata, inizia ad appassire. Nel frattempo è sempre preferibile maneggiarla con cura.

Occorrente:

  • 1 Kg di cime di ortica fresca, non essiccata
  • 1 limone
  • 10 grammi di radice di zenzero fresco
  • 4.5 litri di acqua
  • 600 grammi di zucchero
  • 20 grammi cremor tartaro
  • 1 bustina di lievito di birra
  • contenitori e recipienti vari

La birra di ortica si ottiene con la fermentazione delle foglie di ortica, che viene innescata dal lievito di birra (per intenderci, quello tipico per la preparazione della pizza) e dal cremor tartaro. In Italia è poco noto, ma anche il cremor tartaro, o cremore di tartaro, è un agente lievitante del tutto naturale, ottenuto da acido tartarico estratto dall’uva o dal tamarindo. Prima della fermentazione, tuttavia, le ortiche vanno prima lavate e private di eventuali radici e fusti: le parti migliori sono le cime, approssimativamente le prime sei foglie. Le cime di ortica vanno così inserite in una pentola con l’acqua, lo zenzero, il succo e la buccia del limone. Si porta il tutto ad ebollizione e si spegne il fuoco dopo 30 minuti. A questo punto si filtra il liquido verdognolo (colore dato perlopiù dalla clorofilla) così ottenuto, strizzando con forza l’ortica per tirarne fuori tutto il sapore della pianta. Si riporta nuovamente il liquido in pentola e si aggiungono lo zucchero e il cremor tartaro. Si riscalda il composto, fino al completo scioglimento dello zucchero. A questo punto si trasferisce la futura birra in una capiente contenitore e lo si fa raffreddare fino al raggiungimento dei 20°C. Solo allora sarà possibile inserire e disciogliere anche il lievito di birra (il contenuto di una bustina, circa 10 grammi). Coprire il contenitore non ermeticamente, ma il giusto da non far entrare polvere o altro. Tenere il contenitore a temperatura ambiente per 4-5 giorni, poi travasare la birra in bottiglie di vetro, facendo attenzione a non imbottigliare anche i sedimenti depositati sul fondo del contenitore.

La birra così ottenuta sarà dolce e frizzante, anche troppo frizzante. Infatti l’effervescenza della birra di ortiche può risultare così esplosiva, che si consiglia di stappare le bottiglie all’aperto, per evitare spiacevoli sorprese.

La birra di ortica si conserva per pochi mesi in frigo. Maturando, la dolcezza si riduce. Complessivamente al gusto ricorda molto quello del sidro. Come tutte le birre, la bibita va servita rigorosamente fredda.

 

 

 

 

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Macerato di ortica : antiparassitario e fertilizzante

antiparassitario e fertilizzante naturale ottenuto dalla macerazione dell'ortica
Antiparassitario e fertilizzante naturale ottenuto dalla macerazione dell’ortica

In primavera nei giardini/orti abbondano quasi in egual misura le ortiche e parassiti!
Il modo ideale per risolvere due problemi in un colpo solo è preparare il macerato di ortica che, oltre ad essere un forte repellente, arricchisce anche il terreno di ferro, calcio, magnesio, potassio, zolfo, silicio..ecc..rinvigorendo le piante trattate.


Le regole base per il macerato ( in realtà per tutti i macerati ) sono:
utilizzare acqua piovana o di fonte, in quanto priva di cloro e non calcarea. In alternativa, utilizzare acqua di rubinetto preparata la sera prima per dare modo al cloro di evaporare. Se è molto calcarea, bisogna aggiungere un cucchiaino di aceto di vino o di sidro per ogni litro di acqua.
– è preferibile tritare l’ortica per facilitare la liberazione dei principi attivi.
– utilizzare recipienti di vetro, plastica o legno, evitando il metallo. Si consiglia vivamente di utilizzare recipienti dotati di coperchio, perché il macerato ha un odore molto forte.
– le temperature al di sopra dei 30° C riducono i tempi di macerazione. L’ideale sarebbe preparare il macerato intorno ai 20°, senza mai scendere sotto ai 10°, in quanto il processo s’interrompe completamente.
– il macerato, dopo essere stato filtrato, deve necessariamente essere diluito, altrimenti potrebbe addirittura funzionare da diserbante.

Preparazione:

Inserire in un recipiente 900 grammi di ortica ogni 10 litri di acqua e lasciare macerare per 5 giorni ( in estate ne bastano anche 2 ).
Il composto, proprio per effetto della macerazione e della fermentazione, mostrerà in superficie una schiuma e un odore molto cattivo.
Filtrare e diluire ( diluizione al 20%, ovvero ogni 2 litri di macerato, aggiungere 10 litri di acqua ).

Il macerato non si conserva al lungo, dopo qualche giorno perde di efficienza.

Utilizzo:

Dopo la diluizione, il macerato di ortica è pronto per essere spruzzato direttamente sulla pianta come antiparassitario o utilizzato come fertilizzante, irrigando ogni 15 giorni.

Se introdotto nella compostiera, il macerato di ortica risulta essere anche un ottimo accelerante biologico nel processo di decomposizione.

Per la preparazione di altri macerati e consigli utili per un orto sano e rigoglioso consigliamo il libro : “Fertilizzanti e trattamenti naturali”

 

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