Il pH e l’influenza sulla fertilità del terreno


Abbiamo parlato più volte nei precedenti post del pH del terreno, accennando sommariamente all’influenza su altri parametri come la fertilità o addirittura sulla colorazione dei fiori dell’ortensia.

Senza scendere troppo nel dettaglio tecnico-chimico del pH, diciamo che è una scala con valori dallo 0 al 14 che esprimono l’acidità o la basicità (alcalinità) di un ambiente. Una pubblicità di un noto detergente di qualche anno fa “martellava” sull’importanza di mantenere inalterato il pH della nostra pelle che è leggermente acido, con un valore generalmente intorno al 5.5. Infatti tutti i valori inferiori al 7 sono acidi, quelli superiori sono basici, mentre un pH uguale a 7 è detto neutro.

Per fare qualche esempio, l’acqua distillata (dunque pura) ha un pH neutro (=7), il limone è circa 2.4, dunque molto acido (più il valore si allontana dal 7, ovvero diminuisce, più è acido), invece l’albume d’uovo è molto basico (pH intorno a 9: più il valore si allontana dal 7, in questo caso aumentando, più il pH è basico.)

Fatta questa doverosa premessa, vediamo nel dettaglio in che modo il pH del terreno influisce sulla fertilità.

In un precedente post ( Elementi della fertilità del terreno e sintomi in caso di carenze ) abbiamo visto come la presenza o l’assenza di azoto, potassio, fosforo, calcio, magnesio, zolfo, più altri micro elementi come rame, zinco, boro e manganese, appunto detti elementi della fertilità, incidono sui regolari cicli di crescita delle piante. L’assorbimento di tali elementi può essere inibita sia dall’eccedenza di uno di essi a discapito di un altro (come abbiamo visto, infatti, il calcio in eccesso inibisce il potassio che, a sua volta, è antagonista del magnesio, diminuendone l’assorbimento in caso di sovradosaggio.

Un altro fattore che inibisce l’assorbimento di alcuni elementi è il pH del terreno. Addirittura ogni elemento reagisce diversamente in presenza di valori di pH diversi.

Ad esempio in presenza di un pH del terreno che varia da 6 a 8, l’azoto ha un assorbimento ottimale, mentre il fosforo viene assorbito meglio dalle piante quando il terreno ha un pH tra il 6.5 e il 7.5 o tra il 9 e il 10. Allo stesso modo il potassio ha per così dire due preferenze, una nell’intervallo 6-7.2 e l’altra 8.7-10.

L’unico elemento con uno spettro di assorbimento maggiore è lo zolfo, che mostra un livello di assorbimento ottimale in presenza di un pH del terreno da 6 a 10. Poi per il resto, manganese, rame e boro hanno un atteggiamento molto simile, con un assorbimento ottimale tra un pH 5, fino a 7.

Si deduce, pertanto, che definire una pianta “acidofila” semplicemente come amante di terreni acidi è un po’ riduttivo, in quanto in realtà ciascuna pianta predilige un pH differente proprio in base alle differenti esigenze di elementi nutritivi di cui necessita.

Come si può modificare il pH del terreno in modo naturale?

Ci sono tanti metodi per modificare il pH del terreno. Sicuramente ricorrere a prodotti chimici è la via più breve, ma non la più ecologica. Un metodo più lento, ma del tutto naturale è l’uso della pacciamatura: utilizzando aghi di pino o torba, infatti, il pH del terreno tende ad aumentare di acidità. Anche l’impiego del caffè (sia l’infuso che la polvere usata) può contribuire a ridurre il pH, dunque a renderlo acido. Viceversa, se si vuole rendere il terreno più basico, occorre aggiungere cenere di legna che, oltre ad abbassare il pH, è anche un eccellente concime organico grazie all’elevata presenza di calcio, potassio, fosforo e magnesio.

Come misurare il pH del terreno?

Oltre alle classiche cartine tornasole, in commercio ci sono dei piccoli misuratori, a volte dotati anche di altre funzioni, come la misurazione di luce ed umidità, che grazie all’inserimento delle sonde nel terreno riescono in breve tempo a fornire valori precisi.

Curiosità: Anche le piante spontanee hanno delle preferenze verso un pH del terreno piuttosto di un altro. Ad esempio le spontanee che indicano un terreno acido sono la camomilla, la margherita, il ranuncolo e il giavone.
Invece, le piante che indicano un terreno alcalino sono l’avena selvatica, il papavero, la lingua di cane e il tarassaco . Bisogna considerare che l’abbondante presenza di tutte le specie indica un pH più o meno neutro (intorno a 7). Invece, la distinzione tra terreno acido e alcalino può essere fatta osservando se ci sono piante che crescono in una quantità non esclusiva, ma tuttavia prevalente.

Considerazione: La pratica di fertilizzazione, sia che si scelgano prodotti chimici o organici/biologici, è molto più complessa di quanto si possa immaginare, perché, come abbiamo visto, i fattori e gli equilibri che determinano la fertilità sono tanti e delicati. Pertanto è opportuno sempre seguire con attenzione i dosaggi indicati e le frequenze suggerite.

 

 

 

Il pH del terreno e il colore delle ortensie

Tutte le piante, con o senza fiori, sono interessanti per proprietà, caratteristiche, possibili usi o semplicemente perché esteticamente gradevoli.

Nel corso dei mesi abbiamo visto le peculiarità di varie piante: la capacità della bella di notte (Mirabilis Jalapa) di bonificare il terreno da metalli pesanti [ leggi anche “La bella di notte e la fitodepurazione” ], la tendenza di alcuni fiori a chiudersi in prossimità di bassa pressione, permettendo quindi di prevedere il cattivo tempo [ leggi anche “Le piante barometro, altro che app!“, o come preparare un surrogato del caffè con le erbe spontanee.

Oggi è il turno di una varietà tanto diffusa quanto particolare: l’ortensia, la pianta ornamentale più amata, con le sue grandi foglie dentellate e i fiori dalle mille sfumature che possono virare dal rosa chiaro al blu scuro.

In realtà  la colorazione dei fiori delle ortensie è influenzato dal pH del terreno. In presenza di un pH acido, le ortensie assumono una colorazione blu. Se invece il terreno ha un pH basico, assumono il colore rosa. In commercio, infatti, esistono dei prodotti definiti “azzurranti”: altro non sono che delle soluzioni acide che fanno spostare il pH del terreno.

Dunque il fiore dell’ortensia funziona come una cartina tornasole, virando dal rosa al blu, passando per gradazioni intermedie.

Conoscere questa caratteristica della pianta può dunque essere utile sia se desideriamo modificare il colore della pianta, sia per conoscere il pH del terreno.

A cosa può servire conoscere il pH del terreno? E come è possibile modificarlo in modo naturale? Ne abbiamo parlato ampiamente nell’apposito post “Il pH e l’influenza sulla fertilità del terreno”.

Elementi della fertilità del terreno e sintomi in caso di carenze

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Quando si parla di elementi della fertilità del terreno molto spesso si fa riferimento principalmente all’azoto , ma in realtà sono 6 gli elementi nutritivi principali (macroelementi ) , più i microelementi , che svolgono funzioni specifiche durante il ciclo delle piante , e in base ad una eventuale carenza , corrispondono sintomi ben precisi .

  1. Azoto : Dicevamo , forse insieme al potassio , l’elemento più noto . La sua funzione è quella di stimolare lo sviluppo vegetativo , quindi la formazione di radici , fusti , rami e foglie . Quindi davvero indispensabile per piante da frutto , soprattutto durante la fase giovanile o la ripresa vegetativa , ma anche per tutte le altre specie , in quanto , dalla fioritura in poi , il sostentamento del fogliame sottrae nutrimenti al resto della pianta , tardando la produzione di frutti . Dunque una carenza di azoto si manifesta con crescita lenta , fusti esili e colorito spento .
  2. Potassio : Favorisce l’accumulo di sostanze di riserva , come zuccheri ed amidi ,la colorazione , il sapore e la pezzatura , dunque indispensabile per tutte le piante da frutto o ortaggi (pomodoro , zucchine , patate , cipolle , carote…) . Quindi quando la pianta non riceve sufficiente potassio generalmente ha una scarsa produzione di frutti e di piccole dimensioni .
  3. Fosforo : Permette alla pianta un maggiore vigore e quindi una maggiore resistenza alle malattie . Deve essere presente , ma non in quantità eccessive , altrimenti tende a rendere legnosi i tessuti . Viceversa , una sua assenza o carenza , porta la pianta ad ammalarsi con maggiore frequenza .
  4. Calcio : E’ fondamentale nella formazione di nuovi tessuti , infatti un’eventuale carenza si manifesta con giovani foglie fragili e deformi .Come il fosforo , non deve eccedere , altrimenti inibisce l’assorbimento del potassio .
  5. Magnesio : Ha un ruolo principale nella fotosintesi , quindi direttamente collegato alla pigmentazione della pianta , regola varie funzioni e una sua carenza porta ad un repentino ingiallimento delle foglie e alla caduta anticipata . Un’elevata presenza di potassio , suo antagonista , ne riduce l’assorbimento .
  6. Zolfo : Importantissimo per aumentare la resistenza alle malattie fungine , inoltre migliora l’assorbimento di azoto e fosforo . In assenza ( o carenza ) , l’apparato radicale è fragile e una maggior tendenza agli attacchi di oidio (patologia fungina )
  7. Microelementi : E’ una vastissima categoria di elementi , tra i quali ricordiamo ferro , rame , zinco , boro e manganese . Sono chiamati microelementi perché stimolano con dosi ridottissime le principali funzioni fisiologiche delle piante .

L’assorbimento dei macroelementi è influenzato non solo dagli antagonisti , ma anche da altri fattori , come ad esempio il pH del terreno . Quindi la fertilità è un equilibrio tra più fattori ed elementi che bisogna vagliare nel complesso .

La pacciamatura: cos’è, a cosa serve e come si fa

 

La pacciamatura è una pratica che risolve molti problemi pratici nella gestione di un orto o di un giardino. Consiste nella copertura della superficie del terreno con materiale di varia natura, organica ed inorganica.

I principali vantaggi della pacciamatura sono:

  • trattenere l’umidità del terreno, riducendo l’evaporazione (in estate) ed un conseguente risparmio idrico [ leggi anche “ 10 semplici regole per risparmiare acqua in giardino ” ]
  • proteggere le radici dalle escursioni termiche: dunque trattenere calore in inverno ed evitare un eccessivo surriscaldamento in estate.
  • evitare il compattamento del suolo dovuto all’impatto della pioggia
  • impedire la crescita delle infestanti, sottraendo luce [ leggi anche “Diserbante naturale : acqua e sale !” ]

Regole basilari per pacciamare in modo ottimale:

  1. In un contesto strettamente biologico-naturale, utilizzare solo materiale organico (paglia, aghi di pino, fogliame, corteccia, cippato, fibra di cocco, torba.. ecc..), o inorganico, purché di origine minerale ( ghiaia, roccia lavica, sassi ..).
  2. Nei giardini o comunque in prossimità di piante perenni dove non c’è un frequente ricambio delle colture si può optare per una pacciamatura minerale. Mentre nelle colture annuali, si consiglia materiale di origine vegetale e con uno spessore dello strato non superiore ai 5-6 cm per favorirne il naturale processo di decomposizione. Strati troppo spessi di pacciamatura, oltre a restare indecomposti, rischiano di essere ricettacolo di ospiti sgraditi attratti da marcescenze ed essere anche veicolo di malattie.
  3. Ogni materiale pacciamante ha diverse caratteristiche e diversi tempi di degradazione. Ad esempio, la torba, pur essendo un ottimo substrato (utilizzato in sostituzione del terriccio nella coltivazione indoor), ha tempi di degradazione molto lunghi  ed influisce sul pH del terreno, verso valori di acidità. Stesso discorso vale per gli aghi di pino che, se usato come pacciamante, aumenta l’acidità del terreno a livelli tali da avere l’effetto di diserbo totale. Dunque torba e aghi di pino possono essere usati come materiale pacciamante delle acidofile (ad esempio camelia e ortensia, ma anche fragole, lamponi e frutti di bosco) o mischiati ad altri materiali. Altri materiali grossolani, ricchi di cellulosa ( trucioli, segatura, cippato..) hanno tempi di decomposizione più lunghi di materiali acquosi come foglie, sfalci d’erba, scarti dell’orto. Ogni materiale ha i suoi pro e i suoi contro: il trucco è capire quello più adatto.
  4. La velocità di decomposizione dello strato pacciamante dipende, oltre che dalla natura del materiale, anche da temperatura ed umidità. Maggiore umidità e temperature elevate, riducono i tempi di degradazione. Quindi, nonostante si possa pacciamare praticamente in qualsiasi momento dell’anno e in qualsiasi fase di crescita, anche la stagione e l’esposizione al sole della zona da pacciamare incidono sulla scelta della materiale da utilizzare.

L’unico aspetto negativo della pacciamatura è una momentanea sottrazione di azoto nel terreno da parte della microflora: la decomposizione avviene ad opera di microorganismi che in presenza di risorse, aumentano esponenzialmente e per moltiplicarsi hanno bisogno proprio di azoto. Nonostante sia temporanea questa fase, il problema può essere ovviato incrementando azoto con letame o compost maturo. Tuttavia è una sottrazione momentanea, in quanto la stessa degradazione della pacciamatura apporterà azoto al terriccio.

In conclusione la pacciamatura è utile e, se fatta con i materiali giusti, migliora anche la qualità del terreno.

 

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